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- Torna alla ribalta il capitale naturale
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Con gli occhi del mondo puntati addosso, la XXVI conferenza sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite, chiamata anche COP26, non può permettersi di compiere passi falsi. Il vertice di Glasgow inizia tra 16 giorni ed è sempre più chiaro come dovrà essere la formula per il successo. La riduzione delle emissioni è ovviamente la prima mossa da compiere, ma non basta. Dobbiamo diffondere e migliorare le tecnologie per catturare il carbonio esistente nell'atmosfera. A tal proposito, i leader mondiali devono concentrare la loro attenzione sui prezzi del carbonio a livello globale. Dopo essere riusciti a stabilire un'aliquota minima dell'imposta sulle società[1], approvata la scorsa settimana da 136 Paesi, bisogna porre rimedio al fatto che per quasi l'80% delle emissioni non è stato riconosciuto alcun prezzo del carbonio.[2]
Ma le misure non devono fermarsi qui. È necessario anche prendersi cura dei serbatoi naturali di carbonio esistenti attualmente, ovvero gli oceani, le terre e le foreste. Tutti insieme, questi serbatoi di carbonio eliminano e raccolgono circa il 40% delle emissioni di gas serra, come evidenziato dal nostro Grafico della Settimana.[3] Siamo convinti che una politica sul clima credibile debba prendere in considerazione il ruolo primario della natura nella riduzione ed eliminazione delle emissioni, come illustrato in un recente studio di DWS.[4] I mari sono minacciati dall'acidificazione, dai rifiuti plastici e dall'inquinamento chimico, dalla pesca eccessiva, dalla caccia alle balene, dalla distruzione dell'habitat costiero, dall'estrazione mineraria dai fondali marini, mentre le foreste sono messe in pericolo dalla deforestazione, dagli incendi e dalla siccità.
Le fonti e gli assorbitori delle emissioni di gas serra
* Fonti di gas serra: Project Drawdown - Drawdown Framework, IPCC (2014), Global Carbon Project (2019) DWS Investment GmbH aggiornato al 12/10/21
Pertanto, i responsabili politici devono agire rapidamente, ad esempio, ampliando le aree marine protette e le zone di conservazione, per garantire che gli habitat costieri siano tutelati da norme che vietino pratiche dannose come la pesca a strascico, l'estrazione mineraria dai fondali marini, la caccia alle balene, lo "spinnamento" degli squali e che prevedano l'eliminazione dei sussidi dannosi alla pesca. Inoltre, è necessario porre fine alle nuove attività di estrazione e produzione offshore dei combustibili fossili, assicurandosi che le industrie navali e marine paghino per i danni causati dalle loro attività. Se da un lato si tratta di sforzi che devono compiere i singoli stati, riteniamo che anche gli investitori privati rivestano un ruolo decisivo.
Per quanto riguarda gli oceani, sono appena otto i settori fondamentali: l'industria degli idrocarburi offshore, delle attrezzature e costruzioni marine, l'industria ittica, delle spedizioni tramite container, della costruzione e riparazione delle navi, delle navi da crociera, delle attività portuali e dell'energia eolica offshore. Ad eccezione del settore ittico e di quello delle attrezzature e costruzioni marine, le dimensioni delle principali 10 società negli altri settori rappresentano una frazione significativa dell'industria totale, misurata in termini di ricavi.[5] Si tratta principalmente di società quotate di grandi dimensioni, il che significa che c'è spazio per una partecipazione massiccia degli investitori al fine di accelerare le discussioni sulla tutela degli oceani. Pertanto, la comunità degli investitori è direttamente interessata a portare all'attenzione dei partecipanti alla conferenza COP26 la tutela del capitale naturale, considerate le esternalità negative che potrebbero incidere sui potenziali rendimenti di molte classi d’investimento.