ago 25, 2025 Chart of the week Nuovo

Perché la crescita degli Stati Uniti è destinata a rallentare

Almeno sul piano demografico, gli Stati Uniti hanno già imboccato la strada che li rende molto meno eccezionali rispetto a pochi anni fa

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Nel lungo periodo, la crescita economica è un affare sorprendentemente noioso. In linea di principio, si riduce a tre semplici domande: quanti lavoratori ci sono? Di quanto capitale dispongono per lavorare? E con quanta efficienza lavoratori e capitale vengono impiegati per produrre beni e servizi per i quali ci sono acquirenti disposti a pagare?

È comprensibile che gli investitori dedichino molta attenzione a come crescita o inflazione possano oscillare nei prossimi mesi e trimestri, e a come potrebbero reagire le banche centrali o altri responsabili delle politiche economiche. Nel frattempo, la capacità di un’economia di trasformare input in output dipende da molti fattori difficili da prevedere, dalle tecnologie disponibili alle politiche governative. Per esempio, stimare l’impatto di lungo periodo delle recenti misure tariffarie statunitensi comporta inevitabilmente una buona dose di congetture. Ma proprio per questo diventa ancora più importante tenere d’occhio i driver di crescita economica già prevedibili, invece di concentrarsi soltanto su ciò che, di volta in volta, cattura l’immaginazione delle classi chiacchierone di Wall Street.

Negli ultimi dieci anni, la maggior parte della crescita dell’occupazione negli Stati Uniti è stata determinata da lavoratori nati all’estero.

Fonte: Bureau of Labour Statistic, DWS Investments GmbH al 12 agosto 2025

Il nostro “Grafico della settimana” affronta un tema che ci sembra sia stato particolarmente trascurato all’ombra delle dispute tariffarie e dei timori sull’inflazione. Mostra come l’occupazione degli immigrati abbia recentemente rallentato, proprio mentre diverse politiche dell’amministrazione Trump iniziavano a entrare in vigore. Oltre agli effetti a breve termine su crescita, consumi e salari, questo è rilevante perché gli immigrati hanno rappresentato quasi il 75% della crescita della forza lavoro civile in età centrale (25–54 anni) tra il 2000 e il 2022. Inoltre, tendono ad avviare imprese a un tasso superiore rispetto agli americani nativi e hanno avuto un impatto sproporzionato sull’innovazione, dal deposito di brevetti all’invenzione di nuovi modelli di business.

Quanto alle prospettive di lungo periodo per i futuri lavoratori nativi, anche i tassi di natalità sono calati bruscamente negli ultimi vent’anni, soprattutto negli stati che fino a dieci anni fa mostravano ancora valori relativamente alti rispetto agli standard dei paesi ricchi.

«Almeno dal punto di vista demografico, gli Stati Uniti sono già ben avviati a diventare molto meno eccezionali di quanto non fossero solo pochi anni fa», osserva Christian Scherrmann, Chief U.S. Economist di DWS.
«Sulla base delle esperienze internazionali, questo ha due grandi implicazioni. Primo: politiche di sostegno — come l’aumento della partecipazione femminile tramite un migliore accesso ai servizi per l’infanzia — possono aiutare, ma richiedono molto tempo. Secondo: le restrizioni alla migrazione non solo limitano la dimensione della popolazione in età lavorativa, ma la rendono anche più volatile e difficile da stimare. E questo, a sua volta, introduce instabilità in molti altri indicatori.»

Questa è una delle ragioni per cui da tempo sosteniamo che abbia spesso senso dare più peso al reddito pro capite e ad altri indicatori indipendenti dalla dimensione della popolazione, soprattutto nei confronti economici internazionali. Ma provate a spiegarlo ai tanti investitori che vedono nei tassi di crescita complessivi più elevati degli Stati Uniti un elemento di attrazione rispetto, ad esempio, all’Europa.

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