set 07, 2020 Chart of the week

L'offerta di moneta cresce, ma non i tassi di inflazione

Gli aggregati monetari registrano una crescita sostenuta in tutto il mondo. Non si prevede tuttavia un rapido aumento dell’inflazione, almeno per il momento

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Numerosi sono i cambiamenti verificatisi quest'anno, considerati impensabili fino a poco tempo fa. Abbiamo assistito a un crollo senza precedenti delle attività economiche, ma anche, allo stesso tempo, all'introduzione di pacchetti di aiuti di carattere altrettanto straordinario mediante politiche monetarie e fiscali. Dal momento che molte di queste misure sono state varate in un clima di grande pressione, ci si potrebbe chiedere se esse, in quanto attuate in tutta fretta, non possano produrre alcuni effetti collaterali indesiderati.

Un indicatore che ha mostrato un notevole sviluppo dall'inizio della crisi è la crescita dell'offerta di moneta. Negli Stati Uniti, nell'eurozona, nel Regno Unito, in Cina e di fatto ovunque nel mondo, gli aggregati monetari stanno aumentando considerevolmente. Per i monetaristi, tale sviluppo fa naturalmente suonare un campanello d'allarme. È forse il segno premonitore di un aumento altrettanto repentino dell'inflazione? Potrebbe esserci un collegamento tra la forte crescita dell'offerta di moneta e le aspettative relative all'aumento dell'inflazione, in quanto valutate nelle obbligazioni indicizzate all'inflazione?

Come dimostra il "Grafico della settimana", una correlazione tra la crescita dell'aggregato M3 e l'inflazione, la cui esistenza è sostenuta da modelli teorici, può essere osservata anche nella realtà. Per l'eurozona, l'attuale crescita dell'offerta di moneta suggerirebbe un tasso d'inflazione (di fondo) attorno all'1,5%. Tuttavia, la correlazione statistica non è affatto perfetta.

Esistono diversi fattori che spiegano l'attuale aumento dell'offerta di moneta. In primis, il settore pubblico ha ampliato enormemente il credito per compensare gli attesi mancati introiti fiscali e l'aumento della spesa, detenendo così al momento grandi volumi di liquidità. Anche il settore delle imprese ha accresciuto la sua posizione di liquidità aumentando il debito, non da meno grazie ai generosi sistemi di prestiti garantiti dallo Stato. Inoltre, l'emissione di obbligazioni societarie ha anch'essa raggiunto livelli record, conducendo a un aumento dell'offerta di moneta nel contesto degli acquisti da parte delle banche centrali.

Dall’altro lato, stiamo ancora facendo fronte alla situazione economica estremamente fragile. Milioni di dipendenti continuano a restare in regimi di riduzione dell'orario lavorativo. Considerata la situazione di precarietà che si osserva nei mercati del lavoro di tutto il mondo, non ci aspettiamo che vi siano grandi possibilità per un aumento dei salari. Anche la domanda debole e il drastico sottoutilizzo delle capacità non convalidano la tesi di un rapido aumento dei tassi d'inflazione. Altri fattori, quali una temporanea riduzione dell'imposta sul valore aggiunto in Germania, hanno spinto ancora più al ribasso i tassi d'inflazione, in alcuni casi persino in territorio negativo.

A tal riguardo, non intravediamo importanti rischi di inflazione per il momento. Nel più lungo periodo, però, riteniamo che esistano alcuni fattori che potrebbero condurre effettivamente a tassi d'inflazione più alti nell'arco di pochi anni. Questo, tuttavia, va ben al di là del ruolo guida normalmente esercitato dalla crescita dell'offerta di moneta.

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