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- Incremento dell’inflazione, American style?
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L'inflazione nella zona euro sta alla fine decollando? Fino a poco tempo fa, non sembrava. Tassi d'inflazione inferiori all'1% erano la norma. Ma ora si spera almeno in una moderata tendenza al rialzo. Attenzione, non ci riferiamo a prezzi erratici o difficili da controllare, come quelli dell'energia (che si formano sul mercato mondiale), dei prodotti alimentari (che dipendono dalle condizioni atmosferiche) o anche degli affitti (che dipendono da disposizioni normative o dalla scarsità di offerta). Si parla invece di salari, che hanno un ruolo importante nel prezzo dei servizi (esclusi gli affitti). Dal 2018 [1] sono aumentati a un tasso annuo di oltre il 2,5%. È solo questione di tempo prima che le aziende trasmettano la pressione salariale ai consumatori. Mentre le spese per i servizi rappresentano solo un terzo circa del paniere utilizzato per determinare l'inflazione, hanno ridotto sostanzialmente i rischi di ribasso dell'inflazione. Per la Banca Centrale Europea (BCE), ciò serve a confermare che la sua politica monetaria sta avendo un impatto - anche se lento - sull'andamento dell'inflazione.
I tassi di inflazione "percepita", invece, variano notevolmente. Anche la BCE si chiede se l'attuale paniere di beni e servizi rifletta correttamente l'effettiva pressione sui prezzi. La loro "revisione strategica" dovrebbe affrontare questo problema. Gli affitti giocano un ruolo importante in questa ricerca. Nell'indice dei prezzi al consumo dell'Eurozona (IPCA) il loro peso è solo del 6,5%. In Spagna, dove il tasso di proprietà della casa è del 77%, gli affitti rappresentano solo il 3,1%. I costi sostenuti per la proprietà della casa (acquisto, ristrutturazione, interessi) non sono inclusi nel calcolo dell'inflazione.
Allora perché non includere i costi degli alloggi occupati dai proprietari nell'indice dei prezzi come avviene negli Stati Uniti? Ipotizzando che l'affitto e gli alloggi occupati dai proprietari costituiscano il 33% del paniere di beni e servizi anche nell'Eurozona, il tasso di inflazione sarebbe oscillato molto di più dal 2010 e in alcuni casi sarebbe stato da 0,2 a 0,5 punti percentuali al di sopra del tasso riportato. Dal 2011 al 2013, invece, sarebbe stato inferiore. E in media avrebbe prodotto un valore simile. "Un indice di questo tipo rifletterebbe quindi meglio la realtà dei prezzi dei consumatori, ma non avrebbe necessariamente portato a una politica monetaria diversa nell'ultimo decennio", conclude Ulrike Kastens, economista di DWS.