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Dopo più di 15 anni dal lancio del sistema europeo per lo scambio delle quote di emissione (ETS), i prezzi delle emissioni hanno finalmente superato i 50 euro a tonnellata. In passato, l'andamento di questi prezzi non hanno ricevuto l'attenzione che meritavano dai mercati finanziari in generale. A parte pochissimi segmenti di nicchia ben definiti, i prezzi del carbonio erano probabilmente troppo bassi e la portata di questi programmi troppo esigua per suscitare interesse. La situazione sta cambiando. Al momento, sono in essere poco più di 60 carbon tax o sistemi di scambio, che rappresentano il 25% delle emissioni di gas serra mondiali (GHG), rispetto alla percentuale del 5% appena di 10 anni fa[1]. Questa tendenza sembrerebbe destinata a continuare.
Ad esempio:
97 Paesi che rappresentano il 58% delle emissioni globali hanno inserito la determinazione del prezzo delle emissioni di gas a effetto serra nei loro piani climatici ufficiali[1]. Questo approccio ha un senso considerato il numero crescente di Paesi impegnati a raggiungere l'obiettivo di emissioni nette zero, che ultimamente ne contava 132[2]. L'Europa ha guidato questo cambiamento, vantando il mercato delle emissioni di CO2 più grande al mondo, con poco più del 40% delle emissioni del continente[3] e con altri settori destinati ad aggiungersi quest'anno, come ad esempio il trasporto su strada e gli edifici[4] e probabilmente anche il settore delle spedizioni[5].
La forza del sistema europeo per lo scambio delle quote di emissione riflette, in parte, obiettivi climatici più ambiziosi:
l'Unione europea (UE) si impegna ora a tagliare le emissioni di gas serra del 55% entro il 2030 rispetto ai livelli degli anni '90, mentre il precedente obiettivo di riduzione era del 40%[6]. Questo spiegherebbe perché un gruppo di funzionari politici, dal presidente della Banca Centrale Europea (BCE) Lagarde[7] al commissario UE per il clima Timmermans[8], stia sottolineando che in futuro c'è il rischio che i prezzi delle emissioni siano ancora più elevati. Questo messaggio comincia a fare presa. Oltre 850 aziende, tra le quali molte delle più grandi società al mondo per capitalizzazione di mercato, stanno già utilizzando un prezzo interno del carbonio per valutare le decisioni in materia di investimenti, pari a un incremento superiore al 40% dal 2018[9]. Questa quota sembra destinata ad aumentare ulteriormente, considerate le proposte dell'UE di introdurre un aggiustamento della tassa sulle emissioni alla frontiera, con un impatto indiretto su quei Paesi con politiche meno rigorose in materia di carbonio[10]. Gli investitori dovrebbero iniziare a prestare attenzione a questa situazione.
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