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- Ancora in attesa della svolta del mercato del lavoro statunitense
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Una delle caratteristiche delle previsioni economiche è che raramente le cose appaiono chiare in tempo reale, come invece accade con il senno di poi. Prendiamo ad esempio i segnali di indebolimento dell'economia, e non quelli piuttosto evidenti visti in Europa, ma quelli più tenui d’oltreoceano. Per un bel po' di tempo, noi e altri osservatori abbiamo atteso che il mercato del lavoro statunitense si trasformasse, in linea con tutta una serie di altri indicatori.
Non c'è quindi da stupirsi se ogni nuovo dato viene sottoposto ad un’attenta valutazione. Prendiamo ad esempio i dati della scorsa settimana sul mercato del lavoro americano, relativi ai salari non agricoli. Non sono stati pessimi, ma indicano chiaramente un rallentamento. [1] Al 3,8%, il tasso di disoccupazione ha raggiunto il livello più alto dal febbraio 2022. La crescita dei salari si sta attenuando. I posti di lavoro nei servizi di assistenza temporanea sono di solito un buon campanello d'allarme, come mostra il nostro Grafico della Settimana. In termini destagionalizzati, negli ultimi sei mesi sono diminuiti del 3,6%. Quando è stata registrata l'ultima volta una tale perdita di posti di lavoro temporanei? Nel 2020, a partire dal mese di marzo, in concomitanza con la recessione causata dalla pandemia. Prima di allora, nell'aprile 2008, nel febbraio 2001 e nel marzo 1991. Non è un campanello d'allarme?
Almeno per quanto riguarda i servizi di assistenza temporanea, i mercati del lavoro statunitensi si stanno già indebolendo
*stagionalizzato
Fonti: Bloomberg Finance L.P., DWS Investment GmbH al 9/06/23
Prima di saltare alle conclusioni, però, è bene tenere presente che i dati mensili sull'occupazione statunitense possono essere volubili, gli aggiustamenti stagionali sono complicati e anche i dati aggregati sono soggetti a numerose revisioni, spesso piuttosto ampie. Ad esempio, le assunzioni di agosto sono state robuste, con 187.000 posti di lavoro creati, ma una revisione al ribasso di 110.000 posti di lavoro negli ultimi due mesi suggerisce un po' meno slancio di quanto si pensasse inizialmente. Nel frattempo, l'offerta di lavoro è aumentata inaspettatamente in agosto, come suggerisce il tasso di partecipazione alla forza lavoro, salito dal 62,6% al 62,8%. Tuttavia, non tutte le persone che sono entrate (o rientrate) nella forza lavoro hanno trovato un impiego: il tasso di disoccupazione è salito dal 3,5% al 3,8%, un chiaro segnale "dovish" per i banchieri centrali. Di conseguenza, a una maggiore offerta corrisponde una minore domanda, il che può spiegare la minore crescita dei salari: la retribuzione oraria media è aumentata "solo" dello 0,2% mese su mese (m/m), in calo rispetto allo 0,4% m/m di giugno e luglio.
Per gli investitori, il punto chiave potrebbe essere che gli ultimi dati sull'occupazione e sull'inflazione tolgano un po' di pressione alla Fed, sostenendo un "on hold" dipendente dai dati nella prossima riunione del FOMC di settembre. Potenzialmente, questo potrebbe addirittura spianare la strada a un ulteriore aumento dei tassi da parte della Fed quest'anno, rendendo le prossime discussioni importanti incentrate sull'entità del taglio dei tassi nel 2024, quando l'inflazione sarà sufficientemente vicina al 2%. Dopo tutto, i consumatori sono diventati sempre più dipendenti dal reddito per finanziare i consumi, piuttosto che dai risparmi in eccesso. Altri venti contrari si delineano all'orizzonte. L'aumento del ricorso al credito a tassi d'interesse più elevati, l'imminente rimborso dei prestiti agli studenti, unitamente a un ulteriore calo della crescita salariale e a un ulteriore ammorbidimento delle condizioni del mercato del lavoro, potrebbero indurre i consumatori a moderare i loro piani di spesa più di quanto non suggeriscano i recenti e solidi numeri sui consumi personali.